venerdì 25 marzo 2011

150°...e poi? Riflessioni su un anniversario



Associazione Mazziniana Italiana Giuseppe Garibaldi 
circolo culturale

l’incontro 
circolo di cultura e politica

Venerdì 8 aprile ore 20,45 
Cooperativa Arnatese
via Checchi 21 / via Torino -Gallarate 21
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Filippo PROTO presidente del Circolo Garibaldi presenta:

150° d’Italia : alle origini della Nazione

150...e poi ?
Riflessioni su un anniversario

presiede Giuseppe GATTI senatore e deputato (VIII e IX legislatura)

moderatore Carlo COLOMBO giornalista


relatori
Orazio CAMMARATA - Carlo COLOMBO
Carlo DENTALI - Pierluigi GALLI
Giuseppe GATTI - Ennio MELANDRI

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GIUSEPPE GATTI UN PROTAGONISTA DEL NOSTRO TEMPO

Il prossimo venerdì 8 aprile il circolo Garibaldi, il circolo l'incontro e l'Associazione Mazziniana – che con l'ANPI hanno promosso a Gallarate il Comitato Cittadino per le celebrazioni del 150° dell'Unità d'Italia – presenteranno la tavola rotonda
“150...e poi? - riflessioni su un anniversario”

La conferenza sarà presieduta da Giuseppe Gatti senatore e deputato nella VIII e IX legislatura, conosciuto e amato da molti compagni ed estimatori.
Ho chiesto al senatore Gatti una breve nota autobiografica: ha acconsentito e la pubblico di seguito.
L'ho intitolata
GIUSEPPE GATTI:UN PROTAGONISTA DELLA NOSTRA STORIA
Ringrazio, con stima ed affetto, il caro compagno Giuseppe.

Ulderico Monti

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GIUSEPPE GATTI
UN PROTAGONISTA DELLA NOSTRA STORIA
nota autobiografica

Sono nato a Fagnano Olona il 06/04/1926.
Abito a Gallarate dal 1935,quando mio padre grande invalido di guerra ha trasferito la famiglia per ragioni di lavoro.
Ho frequentato la scuola professionale per disegnatori meccanici. Terminati gli studi vengo assunto a 14 anni dalle officine meccaniche Galdabini come apprendista modellista meccanico, dove presterò servizio per 20 anni.

Siamo all’inizio della seconda guerra mondiale. Dopo il crollo del regime fascista e l’arrivo dei nazisti, anche Gallarate inizia la Resistenza.
Verso la fine del 1943 e inizio del 1944 alcuni anziani operai antifascisti organizzano uno sciopero per ottenere un aumento della razione giornaliera dei generi alimentari e per un aumento salariale.

Fu cosi che venni coinvolto con altri giovani, sollecitati dai promotori dello sciopero, a fare opera di convincimento nei reparti per garantire la riuscita. Il 10 gennaio del 1944 alle ore 10, tutti i reparti si fermano, la partecipazione è totale, la reazione dei nazisti è immediata.
Un gruppo di militari irrompe in fabbrica, obbliga tutti i dipendenti a presentarsi sul piazzale, viene comunicato che se non si sospende lo sciopero verranno arrestati gli organizzatori.

I lavoratori non accettano la ritorsione, ma la situazione si fa critica: arriva la notizia che un gruppo di lavoratori di una fabbrica di Busto e di Legnano in sciopero sono stati arrestati. La direzione aziendale cerca di mediare e alla fine si troverà un accordo per un aumento salariale.
Sarà la prima esperienza di una lunga serie di agitazioni contro la guerra, per la pace e per migliori condizioni di vita e di lavoro; nel corso delle quali parteciperò da protagonista.
Finita la guerra mi impegno ha costruire e ad organizzare il sindacato FIOM-CGIL e sarò un attivo sostenitore del Referendum a favore della Repubblica.
Nel 1952 sono eletto nella Commissione Interna della fabbrica.
Nel 1960 mi dimetto dalla ditta Galdabini per dedicarmi a tempo pieno all’attività sindacale e politica.
Responsabile della lega Fiom-CGIL del Gallaratese e della segreteria della Camera del Lavoro di Gallarate, inizio a cimentarmi in modo più ampio con l’impegno sociale e politico.
Candidato alle elezioni amministrative nelle liste del P.C.I. per il Comune di Gallarate, sono eletto Consigliere Comunale.
Poi - responsabile di zona del P.C.I. del Gallaratese e del Bustese - organizzerò la campagna elettorale del 1968 nel Collegio Senatoriale di Busto Arsizio.

Nel 1972 nominato Segretario Provinciale della Federazione Comunista di Varese; sarò impegnato a rendere più solido il partito che avrà nel 1976 oltre 11 mila iscritti e il 31% dei voti, il tutto intrecciato con l’estenuante azione contro il terrorismo in modo diretto, anche perché una bomba al plastico distrugge una parte della fed erazione del P.C.I. di Varese .
Eletto Consigliere Provinciale nel 1975, farò parte del Consiglio di Amministrazione degli Aereoporti Milanesi (S.E.A.).

Nel 1979 candidato nel collegio Senatoriale di Busto Arsizio e alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Como-Varese-Sondrio, sarò eletto al Senato con 63 mila 251 voti e alla Camera dei Deputati con 9425 voti di preferenza.
Opterò per il Senato, e sceglierò di fare parte della Commissione Difesa. Rieletto nel 1983 alla Camera dei Deputati continuerò ad occuparmi dei problemi della Difesa ed in particolare delle commesse militari all’aeronautica, in quanto intrattenevo rapporti con alcune imprese del settore, operanti in provincia di Varese (AerMacchi, Agusta Elicotteri). Parteciperò ad alcune missioni all’estero (Libano – Egitto - Stati uniti – Germania) per verificare la situazione palestinese a seguito degli scontri armati in atto a Beirut e poi al PENTAGONO per un reciproco scambio di idee sulla NATO.

Terminato il mandato parlamentare ho cercato, dopo che è caduto il Muro di Berlino, di riannodare i fili della sinistra.
Un tentativo impossibile perché tutti avevano perso la bussola.
Mi sono poi dedicato all’A.N.P.I., portando gli studenti del LICEO di Gallarate a visitare nel corso di alcuni anni i luoghi più significativi della Resistenza: il museo dell’olocausto a CARPI, il campo di concentramento di FOSSOLI, il museo dei 7 fratelli CERVI, il parco dedicato alle vittime della strage di MARZABOTTO, la Casa della Resistenza della Repubblica dell’Ossola e, per concludere, mi sono dedicato ha ricordare nella Giornata della Memoria le vittime dei campi di sterminio e in particolare i sei gallaratesi che si sono sacrificati per la nostra libertà.

Aprile 2011

Giuseppe Gatti

domenica 20 marzo 2011

VIVA L'ITALIA

Questa sera dal TG ho sentito che i (cari ed onorevoli) assessori regionali LEGHISTI, al sentire l'Inno di Mameli, si sono alzati dall'aula e sono andati a bere un caffè!

Una bella trovata, io non sono se sono ITALIANI o persone nate in un stato diverso...

Ho letto e sentito che persone nate e cresciute in altri paesi, oggi si sentono orgogliosi di essere diventati cittadini ITALIANI.

Questi signori - che dicono di appartenere alla Padania - sanno che la Padania non esiste, che al tempo di Garibaldi esisteva il Lombardo-Veneto e che l'unificazione dell'Italia è partita dal Nord e non dal Sud?

A che sono serviti tanti morti che ci sono stati nelle guerre per l'Indipendenza, nella Prima e Seconda guerre mondiali e nella Resistenza?

Giuseppe Vadalà

sabato 19 marzo 2011

REALTA' VINCE IL SOGNO


Cosa vi è di più misterioso e affascinante del rapporto tra arte e follia?

La biografia di grandi artisti, come Dino Campana e Holderlin, ci induce a riflettere su quale linea sottile separi il grande artista dalla pazzia, e tale rapporto è stato spesso oggetto di riflessione di filosofi, poeti, psichiatri, giornalisti, e persino di uomini di fede. Altrettanto studiato, probabilmente perchè comunque dotato di attrattiva, è il rapporto che lega politica e follia. Nella storia non sono mancati esempi illustri – l'eco dei loro bizzarri, e talvolta crudeli, atti è giunta sino a noi – quali Nerone, Caligola, Giorgio III, Hitler, Stalin.

I palesi aspetti paranoidi dello psichismo di un Hitler, o l'elezione a senatore di un cavallo da parte di Caligola, sono di certo esempi di evidenti disfunzioni psichiche e non meritano ulteriore approfondimento da parte mia. Credo invece sia più degno di elaborazione il caso di quegli uomini politici che, pur non malati psichicamente, si lasciano fagocitare dalle loro stesse illusioni, da frasi fatte, dalle parole d'ordine,dai loro stessi slogan, al punto di crederci fermamente, ancora prima di illudere i loro elettori e gli abitanti del paese che si trovano a governare. L'Italia attuale appare proprio governata da individui così, incapaci di riflettere sui cosiddetti "dati di realtà", prigionieri di un mondo onirico fatto di slogan e frasi fatte, prigionieri insomma delle loro stesse illusioni.

Basti vedere, a titolo esemplificativo, la reazione di alcuni di questi soggetti a quanto sta accadendo in Giappone: in questo paese, uno dei più avanzati tecnologicamente al mondo, la minaccia nucleare è diventata dura e drammatica realtà,ed ha ridotto in pochi giorni a brandelli, a farneticazioni prive di senso, espressioni tanto in voga qui in Italia sui media e in parlamento come "il nucleare pulito", "le centrali nucleari sono sicure", ma costoro, mentre il mondo intero è in preda al terrore, si affrettano a rivendicare il loro anelito al nucleare, come professassero una nuova religione o dichiarassero all'atomo fedifrago e omicida il loro amore immutato e appassionato.

"Realtà vince il sogno", scriveva il grande poeta Carlo Betocchi, e questa classe politica al potere in Italia, nella nostra regione e nella nostra provincia, costituita da adepti non di una "politica del fare", come continuano a proclamarsi, ma di una politica in cui la realtà dei fatti ed i problemi effettivi delle persone vengono sistematicamente ignorati a favore di slogan e leitmotiv, dovrebbe lasciare quegli spazi sociali, che così indegnamente occupano, a chi della realtà intende occuparsi.



Carlo Dentali

mercoledì 16 marzo 2011

FEDERALISMO PER L'UNITA' D'ITALIA

di Giuseppe GattiSenatore e Deputato (P.C.I.)


E’ certamente importante ricordare e celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia soprattutto perché si avvertono preoccupanti segnali di divisioni e lacerazioni nazionali.
Queste celebrazioni ci devono portare a riflettere per comprendere i problemi politici, economici e sociali che l’Italia si trascina appresso da 150 anni a questa parte.
Non sottovaluto i passi in avanti che ha compiuto l’Italia nonostante le tragedie e i conflitti che hanno sconvolto la nazione per responsabilità della classe dirigente.
Quando mi riferisco alla classe dirigente non indico solo quella politica, ma anche e soprattutto quella che detiene il potere economico e finanziario che sovente si astrae da tutte le responsabilità.

Nel celebrare il Risorgimento è doveroso ricordare Garibaldi che ha liberato il meridione dal dominio borbonico, cosi come è bene sottolineare l’impresa dei bersaglieri a Porta Pia per Roma Capitale.
Dopo di che, è bene analizzare come si sono comportati i governi monarchici e i regnanti di casa Savoia, Cavour e tanti altri che hanno considerato il Mezzogiorno d’Italia quasi come una colonia da fagocitare.
Si dice non già e non tanto per malevolenza, ma per necessità, imposta dalla intrinseca debolezza di uno Stato e di una classe imprenditoriale che al Nord stava tentando di dare consistenza allo sviluppo industriale.
Quindi si fece una specie di operazione coloniale come fu dell’Inghilterra in India e dei paesi asiatici; della Spagna con l’America del Sud; del Portogallo col Brasile; dei Francesi con l’Africa e cosi via.

Dopo l’unità d’Italia i meridionali vengono considerati “barbari e incivili” dai generali piemontesi, come Cialdini, Govone, Cadorna.
Il 15 Agosto 1863 venne promulgata la legge Piga con la quale si autorizzavano le uccisioni sul posto, senza processo, per chiunque detenesse una qualsiasi arma.
Si è detto che tutto ciò fu necessario per contrastare il brigantaggio.
Furono assassinate intere famiglie, distrutti interi paesi, si parlò di 130 mila briganti.
Ci vollero otto anni e 120mila soldati, bersaglieri e carabinieri, per domare i cosiddetti briganti.

Con un falso plebiscito si attuò la leva obbligatoria che causò la mancanza di braccia contadine per coltivare i campi.
Si procedette alla chiusura e al trasferimento al Nord di fabbriche, come una acciaieria tra le più moderne d’Europa, trasferita a Lumezzane in provincia di Brescia.
Ci si appropriò del tesoro borbonico, di quello del Banco di Napoli e di Sicilia e di tutto il vastissimo demanio pubblico.
Conseguentemente le più o meno grandi industrie del Nord fanno accordi con i latifondisti del sud per procacciare finanziamenti, mentre i contadini poveri sono costretti ad emigrare lasciando i loro paesi e i loro affetti .

Poi i soldati del sud e del nord divisero insieme il medesimo destino nell’affrontare le sofferenze e la morte nelle guerre del 15/18 e del 1940.
Ma si dice : “L’Italia non poteva fare altrimenti!”.
Il capitalismo italiano, non avendo colonie da sfruttare, ha cercato e trovato la soluzione succhiando risorse in quella specie di pseudo colonia che sul finire dell’Ottocento e inizio Novecento gli ha dato un limitato margine di operatività e di sviluppo.
Qualcuno ha definito tutto questo come storia di un capitalismo “straccione”.
Un capitalismo che ha prodotto una borghesia liberale debole e insulsa e una sinistra protestataria anarchica e inconcludente.

Poteva da tutto ciò nascere una borghesia evoluta che non si rifugiasse nel fascismo e un movimento ed una aggregazione politica riformista?
Pare di no se, come insegna la storia, le cose sono andate in tutt’altra direzione.
Certo, l’Italia è cresciuta grazie alla grande operosità e ai sacrifici di milioni di italiani.
Ma c’è un ma! La crescita economica è stata finanziata da un debito pubblico mostruoso che frena lo sviluppo futuro.

Forse i futuri riformisti sapranno fare meglio? 
Anche in questo caso la storia è maestra di vita. 
Obama deve sanare i guasti prodotti da Bush, e quando avrà ridotto all’osso i suoi consensi passerà la mano di nuovo ai conservatori.
In Grecia e in Portogallo i socialisti stanno logorando il consenso per sanare i danni prodotti dalla destra. 
Nulla di grave: questo è il ruolo dei riformisti, e anche nulla di nuovo: l’aveva già previsto quello “sciagurato” Lenin.
E’ il gioco dell’alternanza; la destra produce i danni; ai riformisti il compito di sanarli. 
Ci può essere un diversa alternativa a questa perversa alternanza ?
PARE PROPRIO DI NO!

Giuseppe Gatti
Giuseppe Garibaldi
circolo culturale gallarate


150° dell'Unità d'Italia


Il Circolo culturale Giuseppe Garibaldi - co-promotore e aderente al Comitato Cittadino - è fiero di partecipare alla manifestazione ufficiale del 150°, ed è orgoglioso che il discorso ufficiale di celebrazione sarà svolto dal proprio Presidente onorario, prof. Robertino Ghiringhelli, ordinario di Storia delle Dottrine Politiche – Università Cattolica- Milano.
circolo culturale Giuseppe Garibaldi
il Presidente
Filippo Proto

lunedì 14 marzo 2011

"Impariamo ad ascoltare"
Critica e autocritica


Il compagno Michele Orlando, nel corso di una riunione di partito per l'organizzazione della campagna elettorale per il Comune, ha proposto di adottare la parola d'ordine:
“Impariamo ad ascoltare”

L'argomentazione di Michele è netta: il dibattito politico non è più un confronto di opinioni e di programmi, ma un sovrapporsi di voci autoreferenziali, impermeabili alle dinamiche di un confronto serio e onesto.
Una affermazione stentorea di dogmi e pregiudizi di stampo ideologico.

La dimostrazione l'abbiamo ogni giorno dalla cacofonia dei “dibattiti” televisivi e nello schematismo di molta stampa, ma la condivisione del punto di vista del nostro compagno richiede soprattutto uno sforzo autocritico, applicato alla revisione critica degli atteggiamenti e dei comportamenti di ognuno di noi nei confronti dei nostri interlocutori.

Comportamenti che, a guardarci dentro, rivelano spesso la superbia di una presunta superiorità culturale e una reale insofferenza alla critica.

La lezione antica è: ”Il nostro parlare sia “si,si”, “no, no”: il di più è del maligno”.

u.monti
"Cuore e Regione"....Lombardia
di Giuseppe Nigro


Nella sala comunale di Varese dove si tenne la prima presentazione del libro di Giuseppe Adamoli, "Cuore e Regione", poco prima di Natale, accadde un episodio singolare.
Un grande telo, di quelli che vengono utilizzati come schermo cadde dal soffitto dove era ancorato, fracassandosi rumorosamente e pericolosamente a pochi centimetri dalla testa dei relatori.
L'autore attribuì all'evento un significato metaforico, come se fosse la dimostrazione del degrado in cui versa Varese, la città simbolo della Lega Nord. Il sindaco Fontana ne fu visibilmente contrariato.
L'uomo, il politico ex democristiano, ora PD, è così!
Dice, in maniera ruvida, ciò che pensa. Non è poco per chi ha navigato nella politica lombarda per mezzo secolo.

A fine febbraio, Adamoli, replica la presentazione del libro a Milano e ci tiene a far sapere che individua nel rifiuto di DC e PCI a prendere in esame il progetto craxiano della "Grande Riforma Costituzionale e istituzionale " uno dei motivi della crisi della prima repubblica.


"Il motivo del rifiuto - scrive Adamoli - era costituito anche dalla paura di una erosione di consensi che ne sarebbe probabilmente derivata alle due forze egemoni del governo e della opposizione.
A ben vedere tutto quanto è stato attuato o tentato (spesso malamente) negli ultimi vent’anni in termini di riforma dello stato ha preso spunto da quella intuizione socialista gettata anzitempo nel cestino.

La pregiudiziale anticraxiana, in parte sicuramente giustificata, ha operato pesantemente anche in seguito, producendo una disattenzione del centro sinistra verso tutta l’area socialista trattata come se fosse di destra e non di sinistra.
Un’operazione di cretineria politica che al Pd è costata moltissimo, soprattutto in Lombardia".

Non c'è molto da aggiungere.

Adamoli ancora una volta si mette fuori dal coro.
Avevo già ascoltato dire qualcosa di simile ad Adamoli circa un anno fa a Gallarate, dove si teneva un dibattito sul tema "Federalismo e Regionalismo" presso il "Circolo Garibaldi".
Confesso che in quella circostanza rimasi un po' sospettoso e pensai che Adamoli volesse catturare la compiacenza degli astanti, in prevalenza appartenenti al Circolo di area socialista che lo ospitava.

Devo, oggi, riconoscere che la riflessione di Adamoli si è andata precisando. Egli con grande onestà politica, ma direi pure con finezza intellettuale e storica riconosce che la modernizzazione e lo sviluppo in Lombardia ha fra i protagonisti nel corso del Novecento, il movimento socialista.

Non solo, Adamoli, auspica un cambiamento di rotta da parte della sinistra (presumo intenda dire del PD) verso i socialisti.

Adamoli conosce troppo bene, per esserne stato una sua vittima, i passaggi della politica lombarda che portarono dalla Giunta Ghilardotti, all'affermazione dell'egemonia della destra.

Ciò che i socialisti chiamavano "modernizzazione" e su cui stavano tentando di innestare la cosiddetta "grande riforma", in Lombardia era caratterizzato da una profonda deindustrializzazione della regione e dalla secolarizzazione della società.
Il centrodestra guidato da Formigoni in questo lungo ventennio ha governato questo processo, il centrosinistra ha desertificato in vari modi e misure la cultura del riformismo socialista e si è privato di un prezioso strumento per comprendere quanto stava accadendo nella regione guida d'Italia.

"Nani e ballerine" alla corte del socialismo lombardo erano davvero insopportabili, ma la presunta superiorità morale, di tanta aristocrazia comunista e cattolica si è rivelata una mistificazione che ha consentito ad un ceto politico di sopravvivere, non certo di interpretare e conquistare la maggioranza della società lombarda.

I rimasugli della potentissima sinistra di base di ascendenza democristiana che hanno guidato i giochi di potere in Regione Lombardia fra il 1970 e il 1995 hanno trovato altre collocazioni di potere (fondazione Cariplo) e lasciato gli esponenti politici come Adamoli a giocare una partita di grande dignità politica, ma in ultima analisi perdente.

È pensabile che il ceto politico del PD si acconci ad aprire un confronto con il PSI in Lombardia e con i centri della cultura riformista rimasti?

Adamoli, forse, non vuole congedarsi dalla politica, come dice.
Certo è che se ha scelto di riconoscere i socialisti come interlocutori, senza pensare di inglobarli come hanno preteso di fare gli ex comunisti, si è scelto una strada difficile, tutta in salita.
L'elettorato socialista, spinto nel centrodestra dalle correnti giustizialiste, non ritornerà a sinistra se non ritrova i suoi riferimenti politici.
Questa è la lezione delle ultime tornate elettorali.

Il libro di Adamoli non è facilmente ascrivibile ad un genere letterario certo: un po' biografia, un po' autobiografia, un po' intervista, un po' instant book, un po' indagine politica e storica, è un esempio di narrazione eclettica, multiforme come l'uomo.

Adamoli è un politico che ama accreditarsi come eretico, come hanno saputo essere nella loro storia i socialisti, cui oggi riconosce l'onore politico e culturale. Persino nel titolo il libro di Adamoli riecheggia il socialismo e la democrazia lombarda.
"Cuore" è notoriamente il libro del socialista De Amicis, "Cuore e Critica", la rivista di Arcangelo Ghisleri da cui origina "Critica Sociale" la rivista del socialismo riformista italiano.
"Cuore e Regione", il binomio in cui si riconosce Adamoli, non sembrerebbe un testamento, ma una sfida per il futuro prossimo.
Mi sembra di poter dire che oltre al "cuore" che ne ha sempre sorretto scelte e passione politica, Adamoli si renda conto che è ora di ritornare anche alla ragione politica.
E la ragione politica porta a dire che bisogna riannodare i fili del socialismo in Italia.

Giuseppe Nigro

lunedì 7 marzo 2011

UN NUOVO INIZIO

Sulla Prealpina di Sabato 5 marzo ho potuto leggere, con mio grande stupore, nella pagina dedicata alla cronaca di Gallarate una frase ivi riportata di un importante esponente del pdl gallaratese il quale, a proposito della lista Guenzani e delle persone che la compongono, e delle forze che la sostengono politicamente (fra cui il PSI gallaratese) così si esprimeva: "..si tratta di forze dell'antidemocrazia che si rifanno il maquillage scegliendo Guenzani."

Mi chiedo quindi: secondo tale soggetto, la democrazia a Gallarate verrebbe messa in discussione dal candidato sindaco ingegner Guenzani e dalle persone che lo sostengono?

E come si attuerebbe nella pratica questo piano rivoluzionario che tali pericolosi agitatori – pericolosi, si suppone, come Franco, Stalin e Hitler - stanno ordendo per rovesciare la democrazia gallaratese?

Ho quindi, allarmatissimo, cercato e consultato il programma della lista Guenzani, onde poter aver conferma dei loro intenti rivoluzionari ed antidemocratici, ed in effetti quel programma mi è apparso rivoluzionario sotto molti aspetti:

  • "rivoluzionario" perché vuole impedire lo tsunami di cemento sull'area 336, su cui vuole invece un parco dove mamme e bambini possano trascorrere il loro tempo,
  • "rivoluzionario" perché vuole ridurre l'inquinamento in città ed aumentare le aree verdi,
  • "rivoluzionario" perché vuole migliorare i servizi per gli anziani,
  • "rivoluzionario" perché vuole risolvere le problematiche economiche del comune,
  • "rivoluzionario" perchè vuole ridurre i costi della politica locale.

Davvero un pericoloso rivoluzionario questo Guenzani, e certo un antidemocratico, però, così mi pare, secondo i criteri di Cetto Laqualunque ed i parametri di valutazione dei membri del cosiddetto Partito del Cemento.

Forse, scherzi a parte, i tempi stanno per cambiare e la politica italiana, nazionale e locale, è matura per un nuovo inizio, per dei politici capaci di confrontarsi sui fatti guardando ai problemi concreti ed al benessere dei propri concittadini (che siano propri elettori o meno), che sappiano andare oltre frasi fatte, dicotomizzazioni e vetusti schemi pseudo-ideologici e, insieme a Guenzani, questa nuova politica i socialisti gallaratesi possono con orgoglio rivendicarla.


Carlo Dentali

domenica 6 marzo 2011

Risposte di Adamoli alla nota "Adamoli, Fassino (e il conte di Cavour)

Cari amici e compagni,

nella nota “Adamoli, Fassino (e il conte di Cavour)” ponevo a Giuseppe Adamoli due domande:

1. La Lombardia, regione europea, è valutata a Roma per il suo reale peso specifico?

2. La Lombardia, regione europea, è governata da un sistema politico europeo?

Giuseppe Adamoli
ha risposto e lo ringrazio. Condivido le sue argomentazioni.

Saranno gradite le osservazioni, le opinioni e le critiche che vorrete comunicare.

cordiali saluti

Ulderico Monti

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Due domande sulla Lombardia

e le risposte di Giuseppe ADAMOLI



Caro Ulderico, ti ringrazio per avermi accomunato a Piero Fassino che ho sempre stimato molto pur avendo storie diverse. Grazie anche per gli stimoli intellettuali e culturali che sai sempre offrire. Rispondo molto volentieri alle tue domande.

La prima. Il Parlamento ha sempre badato a tenere sotto scacco le Regioni, Lombardia compresa. Per la sua vocazione “statalista” ha sempre concesso con avarizia le competenze legislative. I singoli parlamentari, poi, hanno peggiorato la situazione, vuoi per orgoglio di appartenenza istituzionale, vuoi per il timore della “concorrenza” dei consiglieri regionali. Questa è la realtà.


Le forze politiche, non dimentichiamolo, hanno fatto a loro volta del centralismo politico un dato fondante.

Qualcosa sta cambiando adesso ma troppo poco e troppo lentamente. Quando vedo che intere delegazioni di partito, anche della Lombardia, vanno a Roma per risolvere il problema dei candidati, delle liste, delle coalizioni locali, la mia delusione è fortissima. Da questo punto di vista, naturalmente, andare ad Arcore equivale perfettamente alla trasferta romana.


Se ci riferiamo invece al concerto delle Regioni, che si attua pure a Roma, le cose cambiano.

Le altre Istituzioni regionali hanno grande rispetto della Lombardia. Da assessore ai Lavori Pubblici, quando partecipavo alle “conferenze” delle Regioni, sentivo che la nostra parola era rispettata e ascoltata. Oggi è forse più temuta che autorevole. E questo è un vero peccato e un grosso limite. L’autorità non può mai sostituire il carisma istituzionale.

In conclusione non mi pare che la Lombardia conti a Roma come la sua grande ricchezza economica, industriale, sociale, culturale e demografica lascerebbe supporre. Le vicende legate alla Fiat di Arese, all’aeroporto di Malpensa, all’Expò 2015, al sistema dei trasporti lo dimostrano chiaramente.



La seconda. Siamo al livello europeo? Risposta difficile se vogliamo evitare il si e il no pregiudiziali (ed entrambi scorretti) dei tifosi dei due schieramenti contrapposti.

La Lombardia ha migliorato col tempo il suo apparato amministrativo. Però eccede nel presidenzialismo che la fa assomigliare di più ad una grande città che ad una Istituzione legislativa.

Questo fatto diminuisce la sua capacità di governo delle trasformazioni in atto. Ed è una grave carenza.


Il federalismo, tanto decantato, si basa sulla competenza di approvare le leggi e di “fare sistema” nel rispetto della Costituzione repubblicana. Altrimenti è solo decentramento. Per essere europei manca, inoltre, una norma decisiva che è in vigore in tutto il mondo democratico. Il presidente eletto direttamente deve sottostare ad un limite di due mandati. Viceversa si paga il prezzo delle incrostazioni di potere, dei vizi tipici della mancanza di alternanza, dei cedimenti alla corruttela.

Sul piano strettamente politico sottoscrivo ciò che hai scritto tu.

In Italia (e in Lombardia sia pure con qualche differenza positiva), invece di un confronto fra partiti ad ispirazione cristiana e partiti socialdemocratici, abbiamo storicamente conosciuto la contrapposizione (e qualche volta il compromesso) fra democristiani e comunisti.

Questa è una delle ragioni del gap esistente fra il sistema di governo dell’Europa e quello italiano, inclusa la Lombardia.

Giuseppe Adamoli



venerdì 4 marzo 2011

Adamoli, Fassino (e il conte di Cavour)

Giuseppe Adamoli è un Lombardo. Piero Fassino è un Piemontese.

Adamoli e Fassino hanno un progetto?

Io credo di si, desidero che abbiano un progetto.


1.

Giuseppe Adamoli percorre la Lombardia con appassionata determinazione a presentare il suo ottimo libro “Cuore e Regione”, una affilata “spada a doppio taglio” di ragione e speranza, e suscita un dibattito che ripercorrendo il passato è teso a costruire – è questa la speranza – una via d'uscita dalla crisi che attanaglia il Paese, la Regione, ma soprattutto la sinistra (o, se si preferisce, il centrosinistra).

Nel suo blog – che è un laboratorio di critica e di proposta (e se occorre anche di autocritica) - Giuseppe Adamoli ha fatto i conti con la distruzione del Partito socialista che – come egli afferma – fu una delle ragioni del tracollo della prima repubblica”:

...A mio modo di vedere una concausa fu la volontà convergente di DC e PCI di non prendere nemmeno in esame il progetto di Grande Riforma Costituzionale e istituzionale che Bettino Craxi aveva avanzato alcuni anni prima. La proposta doveva essere certamente modificata, ma il motivo del rifiuto era costituito anche dalla paura di una erosione di consensi che ne sarebbe probabilmente derivata alle due forze egemoni del governo e della opposizione.
A ben vedere tutto quanto è stato attuato o tentato (spesso malamente) negli ultimi vent’anni in termini di riforma dello stato ha preso spunto da quella intuizione socialista gettata anzitempo nel cestino. La pregiudiziale anticraxiana, in parte sicuramente giustificata, ha operato pesantemente anche in seguito, producendo una disattenzione del centro sinistra verso tutta l’area socialista trattata come se fosse di destra e non di sinistra. Un’operazione di cretineria politica che al Pd è costata moltissimo, soprattutto in Lombardia”
(1 marzo 2011).


2.

Piero Fassino, limpido vincitore delle primarie del Partito Democratico per la candidatura a sindaco di Torino, ha rilasciato (La Repubblica, martedì 1 marzo 2011) un'intervista determinante per infrangere la visione romanocentrica del suo partito:

Ho deciso di candidarmi a sindaco perché penso che la classe dirigente non sia costituita solo dai vertici del partito romano, ci sono altre posizioni strategiche, come le grandi città. Hanno la stessa influenza. In tempi di federalismo il centrosinistra dovrebbe avere più consapevolezza della diversità dei territori. Non è un caso che il sindaco di Milano sia un ex ministro, come il sindaco di Roma e il presidente del Veneto e che il governatore del Piemonte abbia guidato il gruppo parlamentare del suo partito alla Camera”.


Piero Fassino, quando fu segretario dei Democratici di Sinistra, ripropose – come Adamoli oggi – la questione della socialdemocrazia italiana nel suo libro “Per passione”, sciogliendo il nodo del giudizio politico su Craxi, per stabilire che egli fu un innovatore e un modernizzatore della politica italiana.

La sfida di Craxi colse i comunisti impreparati e mise a nudo il loro ritardo a misurarsi con la modernità” scriveva Fassino e giudicava Enrico Berlinguer come un giocatore di scacchi sconfitto, che soltanto la morte sottrasse allo scacco matto inflittogli da Craxi.


3.

Pare dunque che per Adamoli e per Fassino l'affermazione della necessità di una nuova politica, che rompa il centralismo romano e affermi la “consapevolezza della diversità dei territori”, passi per una revisione di giudizio sulla questione socialista.

Perché? Me lo spiego così: la ricostruzione della Repubblica necessita della correzione dell'anomalia del nostro Paese dove è stata distrutta la struttura politica che regge le grandi democrazie europee, cioè il rapporto dialettico tra forze politiche di matrice cristiana e forze socialdemocratiche.

Se il sistema politico italiano non si trasformerà in sistema europeo, il Paese resterà impantanato nella teatrale sterilità degli estremismi urlati, ma nel sostanziale compromesso “storico” della spartizione delle risorse e della dilatazione della spesa pubblica.


4.

Infine, Camillo Benso conte di Cavour: egli aveva certamente un progetto, la confederazione italiana di Stati sovrani.

Cavour morì nel 1861 e fu Stato unitario, segnato dalla sconfitta militare del 1866 e dalla guerra civile contro il brigantaggio (che impegnò fino al 40% delle forze armate del Regno).

Dieci anni dopo, nel 1871, la Germania si unificò come confederazione di Stati sovrani.

Probabilmente è questa la causa prima per cui la Germania è la Germania e noi siamo noi!


5.


A Giuseppe Adamoli - se vorrà rispondere - vorrei porre due domande:

1. La Lombardia, regione europea, è valutata a Roma per il suo reale peso specifico?

  1. La Lombardia, regione europea, è governata da un sistema politico europeo?



Cordiali saluti

ulderico monti