C’era una volta il 25 aprile.
Il fronte bloccato sulla Linea Gotica, la Resistenza tra i monti della Lunigiana, i rastrellamenti e la fame; era il terribile inverno del ‘44-45, tempo di odio e di speranza.
Avevamo sgomenti vissuto la vergogna dell’8 settembre, l’esercito in fuga che implorava abiti civili, e tra i boschi sopra Pontremoli avevamo incontrato i primi ribelli, quando le scarpe rotte erano la drammatica realtà.
Si organizzarono le prime formazioni, gli aeroplani degli Alleati effettuavano i “lanci” di armi e rifornimenti.
Il 25 aprile 1945 fu la liberazione, una primavera radiosa di pace e di libertà.
E di illusioni.
Credemmo fermamente che si fosse compiuto il secondo Risorgimento, che l’eroismo di pochi avesse riscattato l’onta dei Savoia (e del complice Mussolini, dittatore anomalo, incaricato dal re a Primo Ministro, e dal re licenziato), che nel corso nuovo della storia d’Italia svanisse l’età degli “oziosi principi” e delle “vilissime armi”, esecrate dal sempre nostro contemporaneo Machiavelli.
Seguirono gli anni della minaccia sovietica sull’Europa e del difficile corso della democrazia italiana, ma, nei decenni, vanamente sperammo che la Liberazione, il 25 aprile, divenisse il lievito della coscienza unitaria della Nazione, che si ricomponesse la memoria lacerata ed il rispetto di tutti i morti.
Vane illusioni: il fallimento storico della sinistra italiana, mai capace di assurgere – unica in Europa - al ruolo di protagonista autonoma dei destini del Paese, e la mistificante interpretazione auto-assolutaria degli errori commessi, hanno avvilito la volontà unitaria e segnato il destino della democrazia italiana, debole ed incompiuta.
In questo contesto ci chiediamo come possa ricomporsi il quadro dell’Unità d’Italia, lacerato da mitizzazioni e mistificazioni, affinché possa avverarsi il significato della Resistenza quale esito del Risorgimento, riscatto - dall’onta del servaggio - dell’onore e della dignità.
Questo fu la Resistenza, questo deve essere ribadito, ma non diremo che dalla lotta di liberazione ebbe origine la democrazia italiana, perché essa ci fu data in sorte a Yalta dalla divisione dell’Europa in zone di influenza: ad Occidente, libertà e democrazia, ad Oriente oppressione e tirannia.
L’Italia fu democratica perché la linea di Yalta passava da Trieste, come tragicamente sperimentarono gli Italiani di Istria e di Dalmazia.
La riprova l’abbiamo nell’esperienza iugoslava, che conobbe il più forte movimento di resistenza in Europa, ma non ebbe come esito la democrazia, e nell’esperienza tedesca, che non ebbe resistenza armata, ma che generò una democrazia forte e compiuta ad Occidente, e una dittatura ad Oriente.
Questa è la verità storica, fondamento della riconoscenza e della solidarietà con il popolo degli Stati Uniti d’America.
Che fare?
Nei giorni prossimi di maggio ricorrerà l’anniversario della spedizione dei Mille, la folle intrepida impresa che unificò l’Italia e radicò la partecipazione di popolo all’Unità.
Nel segno dell’impresa garibaldina, prima che quell’impresa fosse offuscata dal massimalismo comunista, vivemmo la realtà delle Brigate Garibaldi della Resistenza.
Per recuperare il senso primigenio del 25 aprile, ricominceremo dal Risorgimento:
“C’era una volta il generale Giuseppe Garibaldi…”
ulderico monti
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